Il racconto di Capo Gianni La Ragione

Il nastrino della Missione in Somalia

1992/3 – 2003: decennale della missione “IBIS”in Somalia
Il racconto di Capo Gianni La Ragione

Sono passati dieci anni da quando è iniziata la missione “Somalia 1”, o Restore Hope, che ha visto impegnati Uomini e mezzi in gran numero per riportare la pace nella martoriata Somalia. Attraverso l’intervista al nostro amico e collega Gianni La Ragione proviamo a ricostruire gli elementi principali di quella difficile (e anche sanguinosa) missione.

“Gianni, sono passati 10 anni da quando hai compiuto la missione in Somalia: come avete preparato il vostro intervento?”

“Nel dicembre del 1992 il Battaglione SAN MARCO venne chiamato a svolgere una nuova missione di “Peace Keeping” all’estero. La missione italiana prese il nome di “IBIS” inserita nell’ operazione “Restore Hope” nell’ ambito di una forza multinazionale schierata dall’ ONU con lo scopo di ristabilire condizioni di vita pacifiche. Come in tutte le missioni, l’allarme scattò qualche giorno prima. Venne richiamato tutto il personale, si eseguì un check dei materiali e delle armi occorrenti e venne illustrata una panoramica della missione da svolgere in base alla ultime informazioni ricevute. E’ chiaro che le disposizioni di dettaglio sarebbero state date successivamente quando sarebbero stati definiti gli obiettivi tenendo presente lo scopo della missione stessa.
L’ addestramento venne svolto in funzione della missione da svolgere. Sapevamo già che la Somalia era devastata da anni da una guerra civile che vedeva i diversi gruppi tribali combattersi senza tregua riducendo alla fame l’intera popolazione; le bande armate scorrazzavano per il paese razziando ed ammazzando civili inermi.
Ciò significava per noi che prima o poi avremmo dovuto vedercela con queste bande cercando di ristabilire la normalità nella città di Mogadiscio in collaborazione con gli altri contingenti internazionali schierati dall’ ONU. L’ organizzazione di posti di blocco, pattugliamenti diurni e notturni delle strade, rastrellamenti per il sequestro di armi e la distribuzione dei viveri alla popolazione, erano le attività che ci aspettavano e consapevoli di ciò che andavamo a fare, l’11 dicembre 1992 salpammo con NAVE SAN GIORGIO da Brindisi.”

“Quando siete arrivati in teatro operativo?”

“Siamo giunti in zona di operazioni il 23 dicembre 1992 (11 giorni di navigazione) ed in particolare alla fonda del porto vecchio di Mogadiscio dalla quale riuscivamo ad intravedere la spiaggia dove saremmo sbarcati dopo alcune ore. Si udivano anche, quando il vento era a favore, i primi colpi di armi da fuoco che evidentemente servivano per disincentivare il nostro sbarco; ma a terra prima o poi dovevamo arrivarci.”

“Siete stati ospiti delle Unità della Marina: quel’è stato il vostro rapporto con i colleghi marinai?”

“Il Gruppo Operativo imbarcato era composto da circa 300 fucilieri suddivisi nelle diverse specialità: assaltatori, pionieri, esploratori, mortaisti, missilisti, sommozzatori e gruppo logistico da campo.
Chiaramente si trattava di un gruppo trasportato che non aveva mansioni nella vita di bordo e nonostante ciò il personale della nave nutriva un grande rispetto poiché era cosciente della particolare missione che si andava a svolgere sotto la bandiera dell’ ONU.”

“Raccontaci del vostro primo contatto con il territorio e la gente somala”.

“Il contatto con il territorio è un qualcosa che né io e né i componenti della squadra che comandavo dimenticheremo mai, come del resto tutto il contingente che sbarcò.
Il giorno 23 avvenne lo sbarco: riuscimmo a mettere in sicurezza l’ area che ci era stata assegnata senza particolari problemi ed in serata l’ accampamento era quasi completato.Fin qui tutto era andato liscio (fin troppo…).
Il giorno 24 dicembre le prime pattuglie cominciarono a fornire una sicurezza più organizzata al campo e si volle fare il tentativo di illuminare il campo nelle ore notturne poiché tutte le attività fino a quel momento le avevamo fatte al buio completo in quanto era prudente non offrire nessun bersaglio; questa decisione permise a qualche banda della zona di darci il saluto di benvenuto: appena il mobilux illuminò il campo, una raffica di traccianti sparati da un kalasnikov sfiorò la pattuglia di guardia e le luci.
Il sibilo di quegli spari lo ricordo ancora per non parlare della sensazione che provi quando si vedono partire delle “frecce colore rosso fuoco” verso la tua posizione.
L’allarme scattò subito nonché la caccia al responsabile, ma ovviamente giocavano in casa e riuscimmo soltanto a rinvenire i bossoli dal punto dal quale ci avevano sparato.
L’ evento ci scosse un po’ forse perché eravamo al primo giorno e non conoscevamo ancora la zona se non tramite lo studio delle carte topografiche.
Successivamente le cose andarono meglio visto che eravamo riusciti ad avere l’ appoggio degli “anziani” delle tribù, probabilmente perché ricordavano il loro paese come ex colonia italiana, ed anche per questo motivo avevamo pochi problemi con la lingua nel comunicare con la popolazione.”

“Com’era la vostra giornata tipo“?

“Come già detto, il nostro compito principale era quello di ristabilire la pace sul territorio cercando di reprimere le attività illecite delle bande ribelli; ciò poteva essere fatto soltanto esponendoci in prima persona, vale a dire far sentire la propria presenza pattugliando le strade, creare dei posti di blocco con perquisizioni a campione di autovetture e relativi occupanti ed eventualmente intervenire con la forza in caso qualcuno ci ostacolasse (le regole di ingaggio le conoscevamo bene: eravamo autorizzati ad aprire il fuoco su chiunque ci avesse puntato un arma! ).Anche quando eravamo di “squadra libera”, dovevamo circolare nel campo sempre con l’arma pronta e con giubbotto antischegge ed elmetto a portata di mano nonostante le temperature medie fossero intorno ai 40 gradi (ricordo che in 3 mesi di missione non ha mai piovuto ed il cielo non si era mai annuvolato).
I pochi momenti liberi li trascorrevamo guardando qualche videocassetta che ci mandavano dall’ Italia nella sala TV che eravamo riusciti ad allestire (era ricavata in un vecchio casolare bombardato da mortai le cui pareti le ricostruimmo con centinaia di sacchetti di sabbia coperti da reti mimetiche per evitare eventuali sorprese, cosi come anche la mensa).”

“Un episodio particolare che ti è rimasto in mente…”

“E’ difficile esprimere un solo particolare episodio poiché ce ne sono stati tanti.
Tra questi ricordo una delle prime scorte convogli che abbiamo fatto, dove in pieno deserto abbiamo scortato circa 50 autocarri stracolmi di viveri appena giunti in porto e diretti a popolazioni dell’entroterra ; purtroppo riuscimmo a portare a destinazione solo il 30% del carico a causa delle condizioni meccaniche disastrose in cui erano gli autocarri : parabrezza inesistenti, motori in continua ebollizione ed inesistenza dei pneumatici di scorta… Nessuno ci aveva avvisati che avremo dovuto scortare un carico cosi disperato; sono convinto che gli autocarri che man mano andavano in avaria, diventarono una facile preda per le bande della zona.”

“Ci sono stati momenti di vera tensione? Momenti particolarmente pericolosi?”

Si ci sono stati, ed erano abbastanza frequenti.
Il pericolo maggiore per noi, era rappresentato dalla “routine” che ti portava a sottovalutare situazioni e comportamenti dietro le quali possono nascondersi seri rischi.
Ricordo in particolare una missione di ricognizione che dovevamo svolgere in un villaggio molto lontano da Mogadiscio ; il villaggio era noto con il nome di ITALA con forte presenza di bande ribelli che a bordo di gipponi PK (chiamate in gergo TECNICHE) armate di mitragliere pesanti terrorizzavano le popolazioni. Ovviamente l’ allarme scatta quando eravamo liberi : ci approntiamo e dopo 5′ arriva un elicottero a prenderci.
Dopo l’ atterraggio, in tutta fretta cerchiamo di portarci in prossimità della zona da ricognire ; si trattava dell’ ospedale della zona dove ci avevano segnalato la presenza di alcune TECNICHE SOMALE ed il nostro compito era quello di accertare visivamente queste presenze.
Ad un incrocio troviamo fermo uno di questi gipponi, forse ci aspettava avendo sentito il rumore dell’ elicotterio; ci avviciniamo lentamente ( ma avevamo già il colpo in canna) per verificare chi fossero e soprattutto per controllare se erano in possesso della prevista autorizzazione per essere armati.
Ci hanno guardato malissimo appena gli abbiamo chiesto se avessero la PINK CARD cioe’ l’ autorizzazione a circolare armati (piu’ di noi…)
C’ e’ stato qualche attimo di panico in cui nessuno si muoveva ma tutti ci guardavamo, fino a quando uno di loro non mi esibisce una lettera firmata da un Generale U.S.A. dove li autorizzava a circolare armati.
Noi eravamo in 8, loro forse una quindicina senza contare la marea di gente che ci aveva praticamente circondato per guardare cosa stesse succedendo ; cio’ mi fece prendere la decisione di defilarci con discrezione e chiamare l’ elicottero per un veloce recupero.
Ci prelevarono giusto in tempo poiché notammo un considerevole gruppo di persone che si avvicinavano all’elicottero.
Al rientro, nel rapporto di pattuglia, feci presente che forse in quelle missioni bisognava andare in 3 o 4 quadre in modo da stare tranquilli poiché notai nei componenti della mia squadra un po di comprensibile tensione.

“In caso di necessità, saresti pronto per partire in una nuova missione?”

Certo, è il nostro lavoro.
Ci si può rimettere tanto in queste operazioni ma è anche vero che sotto l’aspetto umano ti danno tantissimo.
Il 27 marzo 1993 lasciamo Mogadiscio per fare ritorno in Italia; in 3 mesi di missione abbiamo sequestrato circa 200 armi e 2000 proiettili di ogni calibro, distribuito oltre 1500 quintali di viveri ed infine curato circa 3500 somali nei nostri ambulatori.
Non siamo mai stati protagonisti di autentici combattimenti, ma solo di qualche sporadico episodio causato più che altro dall’ imperizia dei Somali che non sono combattenti addestrati.
Purtroppo dopo la nostra partenza la situazione degenera e anche il contingente Italiano dell’ Esercito rimasto in loco ha pagato un pesante tributo di vite umane ( check point PASTA).

 

 

 

Curriculum vitae:

Capo di 2^ classe Giovanni LA RAGIONE, nato a Taranto il 27.11.1966

Titolo di studio: Diploma di Perito Elettrotecnico

Categoria/Specialità: Fuciliere di Marina con specializzazione assaltatore

Corsi frequentati:

Corso di specializzazione per Fucilieri Assaltatori c/o il Gruppo Scuole del BTG San Marco Brindisi;
Corso di qualificazione professionale (CQP) per abilitazione a Comandante di Squadra assalto;
Corso IGP (Istruzione Generale Professionale) :
1^ fase c/oMariscuola Taranto ; 2^ fase c/o il Gruppo Scuole del Raggruppamento Anfibio San Marco per abilitazione al Comando di unità minori da combattimento;
Corso P/MRS (Perfezionamento Marescialli) c/o Mariscuola Taranto;
Corso di metodologia didattica e tecniche di conduzione d’aula per Sottufficiali Istruttori c/o Mariscuola Taranto;
Corso di Abilitazione al lancio con paracadute vincolato c/o la
SMIPAR di Pisa.
Incarichi ricoperti:

Comandante di Squadra Assalto/Vice Comandante di Plotone c/o il Gruppo Operativo del BTG San Marco;
Istruttore ai Corsi di Addestramento c/o il Gruppo Scuole del Raggruppamento Anfibio San Marco;
Inquadratore ai corsi c/o la Scuola Navale Militare “F. Morosini” di Venezia;
Responsabile degli ausili audio-visivi c/o la Direzione Corsi dell’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia (attuale incarico).

Onorificenze:

Distintivo d’Onore per lunga permanenza nel BTG San Marco;
Medaglia Commemorativa per l’attività di protezione del naviglio mercantile nazionale in Golfo Persico;
Croce Commemorativa per la partecipazione alle operazioni in Somalia;
Croce d’argento per anzianità di servizio militare (anni 16).

Intervista di Stefano Frantz ,  Tratto da: www.friulanidimarina.org

2 Comments

  • Heros
    Posted Settembre 28, 2012 4:19 pm 0Likes

    Il miglior capo che possa esistere…ormai sono passati un po di anni ma di lui è impossibile scordarsi.
    Una calma e una fraddezza unica…
    Un saluto dal marinaio servizi vari,
    Heros Balduit

  • Maccus
    Posted Agosto 1, 2014 3:54 pm 0Likes

    L’unico vero leone della Scuola Navale Militare “Francesco Morosini” … oltre che un inquadratore, una vera e propria guida, un eccezionale maestro di vita, ci ha seguiti in questi tre anni al navale, non sempre facili. Grazie di tutto Maresciallo. A presto, Maccus.

Lascia un commento